Traduzione di Enzo Navarra

È un cittadino del mondo, sì. Si sente così, ama questo e vuole questo. Però ha vissuto un quinto della sua vita in Grecia. Ha totalizzato dieci anni all’Olympiakos: tre da calciatore e sette da dirigente. Il “saggio” Christian Karembeu ha analizzato a Contra.gr la quintessenza della sua ricca e intensa esperienza in questa esclusiva e profonda confessione, nella prima grande intervista che concede ad una testata sportiva greca.

Ha cominciato dagli anni dell’infanzia nella Nuova Caledonia – territorio francese – e ha concluso col dire che l’Olympiakos è la sua squadra preferita. Sì, anche più del Real Madrid. Ammette che le merengues sono speciali, però risponde «naturalmente l’Olympiakos!». Con lui entreremo nelle case circolari della popolazione Kanak, in un posto dove la comunicazione tra le persone non si è mai persa. Impareremo anche di suo nonno e della falsificazione della storia che lo presenta come un cannibale. Ci spiegherà perché giocava scalzo, come ha deciso di diventare calciatore, quello che ha vissuto nelle squadre in cui giocava e nel grande Real Madrid. Ovviamente ci addentreremo anche nel mondo Olympiakos, dato che l’imperioso francese è il cervello dell’ottima squadra che stiamo seguendo negli scorsi due anni.

È la persona a cui si è affidata il patron della squadra del Pireo Evangelos Marinakis per la realizzazione del progetto di una squadra che pochi giorni fa ha conquistato il 45° campionato della sua storia. Il tecnico Pedro Martins è stata una scelta di Christian Karembeu, che svela aspetti inediti dei due (di Martins e del patron Marinakis, n.d.T), parlandone con ammirazione. La grande visione del proprietario della società si basa solo sul suo piano. Quando il direttore sportivo degli Erythrolefkoi [“biancorossi” in greco, soprannome della squadra del Pireo n.d.T] sostiene fermamente che l’Olympiakos può arrivare alla conquista di un trofeo europeo, questa visione si può considerare davvero grandiosa! Specialmente se avesse potuto comprendere anche Franck Ribery.

Nei grandi dilemmi della sua vita ha sempre preso la decisione giusta ed è stato sempre dalla parte della ragione. Il primo e più decisivo bivio è stato decidere se abbandonare la propria famiglia e la Nuova Caledonia per la sua passione, il calcio. «Per ogni bambino è difficile separarsi dalla propria famiglia. L’ambiente era molto bello, in famiglia si stava molto bene e al contempo coltivavo anche la conoscenza della nostra cultura e storia. Lo stesso succede anche con i greci. Non vogliono andare via dalla Grecia. Tranne se hanno qualche offerta, come l’ho avuta io, oppure per motivi economici sono costretti ad andare via. Ero felice con la mia famiglia e quando ho dovuto fare il grande passo e scegliere per il mio futuro, ho preso una decisione per cui non ho alcun rimorso. Le mie emozioni erano eterogenee. Lo volevo per la mia passione, ma allo stesso tempo non lo volevo per motivi politici».

La storia strana e il mangiatore di uomini

In una maniera quasi rude, Karembeu aveva saputo cosa fosse successo a suo nonno Willy e del suo trattamento da parte dei francesi. Lo hanno presentato all’Esposizione Internazionale Coloniale di Parigi (1931) insieme ad autoctoni di altre nazionalità, con lo scopo di far conoscere altre popolazioni ai cittadini. In realtà era un immorale tentativo di una dimostrazione di superiorità degli europei. “Il mangiatore di uomini”: questa era la didascalia sotto la fotografia di suo nonno, che ha scoperto a casa sua. Era ben nascosta, per non essere trovata dai più giovani della famiglia. La fotografia col supposto “cannibale” era nell’esposizione e Willy si trovava accanto a coccodrilli.

«Quando vieni a sapere cosa hanno combinato con la tua famiglia, cambi completamente il punto di vista sulle cose che ti hanno insegnato e affronti la realtà da un’altra ottica». È evidente che gli era stata insegnata una storia diversa della Francia e la Nuova Caledonia a scuola, però era normale sentire anche i racconti dei suoi. «Era logico! I nonni dicono la storia a cui già credi, quella di cui hai bisogno per crescere. Quando vogliamo costruire una casa, si parte dalle persone che faranno un buon lavoro. Hanno affrontato una storia che era molto molto dura per la nostra famiglia, per la nostra popolazione e per il resto delle persone lì. Nel raccontarci quello che era successo, provavano vergogna. Appena ho saputo, le mie sensazioni sono cambiate. Visto che sono cresciuto imparando tutt’altro, perché a scuola non ci avevano mai detto la verità. Al liceo hanno cominciato a parlarci della storia, della geografia e il nostro professore non poteva dirci cosa successe perché non aveva il diritto di farlo. Sui nostri libri non c’era scritto nulla. Ho saputo la verità dalle foto che ho trovato».

Così era già turbato prima ancora di vedere con i propri occhi la realtà dei fatti: «Le mie opinioni hanno cominciato a cambiare dal momento che vedevo amici e compagni di classe prepararsi per una rivolta. E io chiesi loro: “Ma perché farlo? Siamo a scuola”. Mi risposero: “Non capisci? Sta succedendo questo e questo”». La Nuova Caledonia era stata occupata dai francesi nel 1853 e i nativi Kanak sono stati esclusi dall’economia francese e dalle estrazioni del nichel. Tra i vari contrasti, c’era anche quello tra il governo francese e il movimento indipendentista Kanak dal 1976 al 1988. Ossia fino all’adolescenza di Karembeu [nato nel dicembre del 1970, n.d.T].

«Per me è violenza quando provi a portare ideali di fratellanza e democrazia in questo modo! Vedevo questo e dicevo: “Ok, qua c’è qualcosa che non va!” per poi pensare: “Quello che mi dicono i più grandi di me potrebbe essere vero”. Non dici più che è “la verità”. Dobbiamo cercarla anche da soli la storia, sempre. In tutto questo le autorità mi hanno deluso. Poi ero anche giovane. Quando sei giovane vuoi sempre trovarti di fronte a tutti gli avvenimenti ed è normale. La mia prima passione era il gioco del calcio. Anzi no, il calcio professionistico. Quando il Nantes mi ha fatto fare il provino era una grande opportunità per chiunque. Siccome in patria stavano succedendo questi fatti, ho rifiutato. Perché voglio stare con la mia gente. Da lì capisci chi sei, chi sono le tue persone e cosa va storto».

«Non avevo scarpe, giocavo scalzo»

La leggenda del calcio mondiale quasi 50enne giocava a calcio senza scarpe, prima che lo “acchiappasse” inizialmente una delle squadre locali, il Gaïtcha. «Sì, giocavo scalzo. Non avevo le scarpe». Mi guarda con un mezzo sorriso agrodolce e, dopo una malinconica pausa durata secondi, continua: «Ero abituato a giocare così e uno degli allenatori era rimasto sorpreso. Ha fermato la partita. Ha detto: “Non può giocare così questo ragazzino, non ha le scarpe!”. Io ho guardato loro e rispondo: “Non mi importa, con o senza scarpe, io voglio giocare”. “Almeno metti un paio di scarpe, quello che capita!” mi dice. Così sono uscito e ho chiesto se potessi prendere in prestito le scarpe di qualche ragazzo. “Non mi importa se sono da basket o altro. Devo proteggere i miei piedi”».

Era molto veloce. Ogni membro della famiglia aveva un ruolo. Il piccolo Christian correva quasi 14 chilometri al giorno per comprare il pane. Voleva fare in tempo a vedere gli highlights del campionato francese.

Il direttore sportivo dell’Olympiakos alla fine ha seguito la sua passione e ha avuto anche ragione. «Diventa il nuovo Maradona» gli dice il fratello, quando annuncia alla famiglia che sarebbe andato ufficialmente al Nantes per un provino. «Mio fratello amava molto il calcio e scherzava. Quando vai in Europa, non puoi immaginarti che vivrai quello che sognavi e avrai successo. Non potevo mai crederlo! Dopo tutto quello che ho vissuto, la mia famiglia mi disse: “Va bene, vai”. Al contempo avevo il cuore a pezzi. Non volevo lasciare la mia patria, i miei, però amavo anche la mia passione. Quando salivo sulla scaletta dell’aeroplano, ho costruito me stesso. Avevo le lacrime agli occhi, perché la mia famiglia era solo dietro di me. Andavo avanti e dicevo: “Non posso ritornare senza qualche successo. Se mai tornerò qui, sarà qualcosa di diverso. Sarà qualcosa”. Volevo renderli orgogliosi di me».

La sua famiglia gli aveva regalato un paio di scarpe da calcio nuove di zecca e una collana di conchiglie […] in modo da non dimenticare mai le proprie origini. «[…] Esiste una gerarchia in famiglia: prima i più grandi, poi i più piccoli. Non esisteva che un ragazzino dicesse: “Hey, voglio parlare”. Non ho mai abbandonato queste caratteristiche della mia cultura. Lo stesso vale qui in Europa, quando vedo amici, membri della mia famiglia o persone dalla mia patria. Questo mi seguirà fino alla fine della mia vita. […] Con gli anni, però, tutto questo è cambiato. Come anche i soldi: prima che venissero i francesi c’era la valuta kanak, con le conchiglie».

«Quando i compagni si riposavano, io restavo da solo e lavoravo»

Aveva 17 anni quando arriva nella fredda e piovosa Francia per sostenere il provino nelle giovanili del Nantes. Indossava pantaloncini e una maglietta a maniche corte. Sorprendentemente, si è reso conto che nessuno sapesse dove si trovasse la sua Nuova Caledonia. «In Europa ho imparato a giocare a calcio. Ogni ragazzino pensa di saper giocare a calcio. Era diverso. C’era già un livello, gli altri avevano esperienza, mentre io non ce l’avevo. Potevo correre col pallone, tirare, dribblare, come tutti. Però devi avere in mente anche la tattica, l’avversario e il torneo. Avevo un nuovo “lessico” calcistico davanti. Dovevo imparare il passaggio, il passaggio nascosto, le distanze. Tutto. Anche i tifosi e come relazionarsi con loro, anche con gli avversari. Lavoravo come tutti, ma più di ciascun altro. Loro avevano già raggiunto un livello e io avevo delle lacune. Quando i compagni si riposavano, io restavo da solo e lavoravo. Provavo il piede sinistro, il piede destro, i salti. Ogni giorno. Non solo per coprire le lacune, ma per diventare migliore di loro. Tutti gli altri erano là già da tre anni. Tre anni in cui hanno imparato tanto». Questo programma severo lo ha seguito anche nel resto della sua carriera. Quando era all’Olympiakos era il primo che arrivava e l’ultimo che andava via dall’allenamento.

«Se uno dei miei fratelli minori compie un errore, io ho fallito»

In questo modo raggiungi la vetta. Campione del mondo e d’Europa con la Francia, con cui ha vinto anche la Confederations Cup. Ha conquistato due Champions League e un Intercontinentale col Real Madrid. «Questo è Dio, la sua benedizione o le mie conoscenze. Per me questi trofei sono un enorme vittoria. Sono la vittoria della mia nazione e delle mie persone. Prima di tutto della mia famiglia, che mi ha cresciuto con dei valori. Ho imparato a rispettare tutti, ad essere capace di vedere il mondo con normalità e di comprendere ogni persona in maniera differente. Con tutti i miei viaggi, ho imparato nuove culture, lingue e di essere accettato per come sono. È inoltre una grande conquista, perché ho reso visibili la mia patria e le mie persone. La gente deve capire la nostra storia, dove siamo e chi siamo. Non sono solo le coppe. Hanno imparato tutti chi siamo! Vado orgoglioso di questo. Ovviamente non ho fatto tutto da solo. Ci sono stati anche altri atleti prima di me».

Una delle parole che usa spesso per il calcio, e non solo, durante l’intervista è “diversità”. «Dobbiamo seguire il mondo che cambia. Parliamo di globalizzazione. Questo vale anche nel calcio, ovunque e non solo in termini economici. L’abbiamo visto con la pandemia. Siamo diversi, però alla fine capiamo che siamo tutte persone. Vero, non è stata la nostra prima pandemia. Abbiamo avuto la stessa sensazione anche quando hanno ucciso George Floyd. Siamo tutti nella stessa posizione».

Era inevitabile chiedergli se sia mai stato vittima di razzismo. «Ho provato a prevederlo, ad anticipare l’accaduto, vista la mia esperienza. A non permettere agli altri di fare qualcosa. A parlare alla gente, perché solo col dialogo si possono aprire le porte. Questo fa parte della mia cultura. Abbiamo sempre avuto questo modo di affrontare le cose: ne parlavamo, così avevamo modo di risolvere i problemi nel migliore dei modi. Con i media possiamo vedere quello che succede in tutto il mondo e tutti gli errori che si commettono. A proposito, dobbiamo stare attenti con le fake news e la propaganda. È uno strumento e si deve sapere come utilizzarlo. Dobbiamo usare la tecnologia, però ad un certo punto può essere pericolosa anche per le nostre stesse vite. Vedi cosa succede? Ci sono tante persone in una stanza e sono attaccati alla tecnologia, non si parlano tra di loro. Nella mia patria, la casa è circolare, non quadrata. E non ha stanze. Prima di svegliarsi la mattina, nella sera precedente avevano già parlato dei propri problemi. E ognuno curava l’altro. Dovevo stare attento ai miei fratelli minori, per farli crescere al meglio. Se uno dei miei fratelli minori compie un errore, io ho fallito. Nella nostra società i nonni sono molto importanti».

Gli ho detto che anche in Grecia è uguale, ma già lo sapeva. «Nelle società moderne, i figli si separano da genitori e nonni. Prima lavoravano i padri, ora anche le madri e non è sicuro che i figli comunichino con i nonni, perché sono tutti divisi nelle proprie stanze. La famiglia ha un ruolo fondamentale in Grecia e una persona lo può capire da come costruite le vostre case». Lo guardo dubbiosa. Mi chiede: «Quando costruite le vostre case, non pensate alla vostra famiglia?». Naturalmente rido e rispondo di sì. Molte famiglie, in Grecia, abitano in appartamenti vicini o separati da un piano in un palazzo. In effetti, è una giusta osservazione. «Quando sono venuto qui, dicevo “ooohhh, è così” e mi è subito piaciuto. Perché, nonostante voi siete divisi da stanze e appartamenti, almeno vi trovate nello stesso condominio. Potete pranzare o cenare insieme. Lo spero. È vero?». Seconda approvazione da parte mia. È incredibilmente intelligente e un buono psicologo. L’ho pensato tante volte, mentre parlavamo. «Questo succede perché avete bisogno di comunicare. Di dire cosa succede, cosa vi preoccupa.»

«Dobbiamo scrivere la verità sulla storia della Francia»

Nel 1996, durante l’Europeo, il capo del partito di estrema destra francese Jean-Marie Le Pen ha commentato in maniera rude la nazionale di calcio transalpina, sostenendo che la maggior parte dei giocatori hanno scelto apposta la propria nazionalità, in modo da giocare a calcio a livello internazionale. Le sue dichiarazioni sono state oggetto di numerose critiche e con questo pretesto si è acceso un intenso dibattito politico in Francia proprio durante quella competizione. Karembeu si è rifiutato di cantare la Marsigliese, durante la presentazione delle squadre. «Non parlo mai di Le Pen. Quando sei in democrazia, dai l’opportunità a tutti di avere un partito e di parlare di quello in cui credono. Penso che si debba affrontare lo sviluppo del mondo, ma anche la stessa storia. La Francia è cresciuta con le sue colonie e questo non si può rifiutare. Devono accettare le persone che vengono dalle proprie colonie. Oggi, visto che siamo nell’era della globalizzazione e dell’immigrazione, devi permettere alle persone di venire nel tuo paese. Ovviamente ci devono essere delle regole in questo e le persone devono rispettarle. Tutti devono rispettare le leggi di ogni paese. La percezione di alcuni però non comprende uomini, persino se si tratta di francesi! Credono che debbano tornare in Africa».

«Personalmente sono della stessa opinione di Emmanuel Macron, cioè che si debba fare un dialogo aperto con terze e quarte generazioni di immigrati. Quello che dico sempre è che si deve scrivere la verità nella storia della Francia. Cioè siamo andati in Africa e nelle altre colonie. Scriviamo che siamo andati in Senegal, nel Camerun, in Marocco, in Algeria, ecc. Scriviamo che cosa abbiamo fatto là e perché queste persone sono qui, in Francia. Come li abbiamo trattati quando sono venuti qui. La nuova immigrazione, i profughi che ci sono ora, è un altro caso. Vengono dalle guerre e la violenza che hanno subito. La prima ondata è venuta dalle colonie e sono stati prelevati dalle proprie patrie, in modo da salvare la Francia. Qualche giorno fa è stata organizzata una grande manifestazione in memoria delle persone della comunità nera che hanno dato la vita per la Francia. Sono stati uccisi dai nazisti tedeschi. Ci sono fotografie, nomi, tutto. Persone dal Senegal, da varie zone. Per quale motivo dico tutto questo? Questi fatti devono essere scritti sui libri scolastici e così tutti potranno dire: “Ah! Sono francese. Sono orgoglioso di essere francese, perché mio nonno ha fatto questo”».

Avevo davanti a me un maestro. In ogni risposta dava anche una piccola lezione, quasi ti risveglia. Usa la forza della sua voce verso la giusta direzione. Il carattere differenzia una grande personalità da una eccezionale. E Karembeu è eccezionale. «Parliamo un po’ dell’Olympiakos» gli ho detto esitando, sapendo che uscivo da un argomento su cui si è concentrato per tutta la sua vita. «Sì, ora che parlavamo di Senegaaaal…». Ride e aggiunge: «Sai che cosa sono i DOM/TOM? Sono tutti i dipartimenti e i territori d’oltremare della Francia. Martinica, Polinesia francese, Guadalupa, Nuova Caledonia, Tahiti…».

«Avevo proposto Martins tre anni fa»

Gli ho chiesto di chiarire quali sono le sue responsabilità, cosa fa esattamente da direttore sportivo dell’Olympiakos. Con il cambio dell’argomento, ha fatto la sua introduzione: «Vorrei prima di tutto dire che sono molto contento che Evangelos Marinakis (il patron dei biancorossi, n.d.T) mi abbia dato l’opportunità di tornare in una grande società del panorama mondiale come l’Olympiakos. Quando mi è arrivata l’offerta, ho risposto velocemente di sì perché amo la Grecia e naturalmente l’Olympiakos. Ho ottimi ricordi dagli anni in cui ho giocato qui (dal 2001 al 2004, n.d.T). Ho cominciato come consigliere strategico e da quel ruolo ho studiato molti parametri di questa società e del settore calcistico, comprendendolo meglio. Ho avuto una visione generale della squadra e del patron e, quando due-tre anni fa mi ha chiesto chi volessi in panchina, gli ho parlato di Pedro Martins. Lo conoscevo da giocatore, però sapevo anche cosa stesse combinando in Portogallo. Per me poteva aiutarci per mettere in piedi un progetto. Ho presentato il piano a Marinakis ed era d’accordo».

«Avevo parlato personalmente a Ribery per venire all’Olympiakos»

Abbiamo cominciato assumendo Pedro [Martins]. Il progetto, come avevo detto a Marinakis, ha bisogno di stabilità e i giocatori di tempo, per capire quello che Martins voleva da loro. Penso che dopo un anno hanno capito e Marinakis ci ha permesso di continuare su questa strada. In questo momento abbiamo queste ottime prestazioni e questo grande successo (la vittoria del campionato greco dopo due stagioni di astinenza, n.d.T.). Marinakis ha appoggiato da subito questo progetto, abbiamo un legame di fiducia. In questo modo, così come ho detto anche a lui, niente ci può fermare: lo vedi dalla gestione dei giocatori, dalle reazioni positive dei tifosi, che si divertono allo stadio col nostro modo di giocare. Cerchiamo di renderli felici e alla fine il risultato parla da sé. Lo staff tecnico e medico, le persone attorno alla dirigenza che lavorano quotidianamente: è uno sforzo collettivo.

«Con Martins proviamo a prevenire certe situazioni»

Karembeu, quindi, è la persona a cui Marinakis ha dato le chiavi dell’Olympiakos. È il “cervello” che ha tracciato un sentiero ed è stato importante passare anche qualche ostacolo. L’Olympiakos ha coperto, senza conseguenze, delle lacune che si sono create durante la stagione. Trovando delle soluzioni che sono state ancora più funzionali. Ad esempio, i trequartisti Daniel Podence e Yassin Benzia si sono trasferiti a gennaio, il centrale difensivo Pape Abou Cissé fuori per tre mesi per un’infezione alle vie respiratorie e la rottura del crociato dell’ala Hillel Soudani.

«Sappiamo sempre che i giocatori possono andare via e quindi cerchiamo di prevenire certe situazioni. Questo è il modo con cui lavoriamo con Pedro. Pensiamo a tutti gli scenari, a cosa può succedere. E la cosa peggiore è di perdere qualcuno: non dobbiamo prevedere solo questo. Abbiamo anche un reparto scouting che è sempre attivo, analizza chi può far parte della squadra. Dobbiamo prepararci a questo. Dall’estate abbiamo una rosa e prepariamo tutti i giocatori affinché siano pronti ad entrare bene in squadra, a creare un’alchimia sia in campo che in panchina. So che Pedro concederà a tutti qualche minuto. Inoltre, abbiamo detto a tutti che abbiamo un obiettivo da centrare». Ovviamente, è difficile per un giocatore rimanere in panchina. «Tutti sono partiti da lì. Non conosco nessuno che sia partito direttamente da titolare»

Altri aspetti positivi dell’Olympiakos sono lo spirito di squadra e la positività tra i giocatori. Una squadra che sprizza salute da tutti i pori. «Parlo anch’io ai giocatori, solo quando serve. Perché dobbiamo dar loro la libertà di creare. Sono lì, accanto a loro però hanno la loro libertà. Quando voglio ispirarli, parlo delle mie esperienze. Sanno cosa ho passato. Principalmente, cerco di caricarli: se si trovano all’Olympiakos è perché abbiamo scelto loro, perché pensiamo che potrebbero aiutarci a fare la differenza. Non li avremmo mai scelti nel caso contrario, è questa la verità. All’Olympiakos ci sono quotidianamente delle sfide, non solo le partite. Devi avere successo ovunque».

Ε quando avevano ormai vinto il campionato? «Ho detto loro di godersi il momento, perché erano davvero molto felici […]. All’inizio era difficile mettere insieme questo gruppo, ma ora il raggiungimento di questo obiettivo ci ha dato grande orgoglio. Non solo a noi della dirigenza, ma anche ai tifosi. Nella nostra squadra c’è tanta musica, ci sono suoni perché c’è la diversità. È una squadra multiculturale e cosmopolita, perché questo è l’Olympiakos! Io adoro questo. Ha nei propri geni l’essere una società polisportiva, quindi siamo persone molto diverse al proprio interno. Quando vengono qui i nuovi giocatori, raccontiamo loro la storia dell’Olympiakos, devono capire dove giocheranno. E subito si rendono conto: “Oh! È una grande società con una grande storia».

In seguito, [Karembeu] ammette che la mentalità della squadra è cambiata. «È vero. Il “messaggio” è cambiato nei metodi da applicare per migliorare. Tutti capiscono che per stare in campo devono lavorare duramente. La buona prestazione non arriva facilmente. La centri perché hai lavorato. In Francia diciamo: “tu récoltes ce que tu sèmes” (si raccoglie ciò che si semina, n.d.R). Questa frase è presente anche nella Bibbia».

Andando su un piano generale: «Proviamo gradualmente ad attuare qualche cambiamento. L’Olympiakos non ha bisogno di grandi stravolgimenti. Ha già 45 campionati vinti. È già una squadra di successo e il cambiamento può avvenire, ad esempio, sul piano tecnologico. Abbiamo già qualcosa in quel campo, ma potremmo avere ancora più dati dalle nuove tecnologie».

Karembeu ha portato colui che ha cambiato faccia all’Olympiakos, Pedro Martins, e ha avuto un ruolo decisivo nella sua permanenza. Un altro al suo posto avrebbe parlato di rivincita personale ma lui evita di parlarne in questi termini. «Mi sono riferito al progetto, che ha una durata dai tre ai cinque anni! Era normale che rimanesse Pedro. Quando scelgo qualcuno, deve rimanere dall’inizio alla fine. Sono concentrato sul mio progetto che non è finito ancora. […] Vediamo che l’Olympiakos sta avendo risultati migliori in Europa battendo Milan e Arsenal e mettendo in difficoltà il Tottenham. La gente ora sa chi siamo e come giochiamo: l’impatto di queste prestazioni è grande in Europa e nel mondo».

L’Olympiakos ha conquistato il campionato pochi giorni dopo la vittoria della Premier League del Liverpool, tre decenni dopo l’ultima volta. Jürgen Klopp viene considerato il riformatore dei Reds e così anche Pedro Martins per l’Olympiakos. Questa coincidenza potrebbe portare qualcuno a pensare che il tecnico portoghese sia il “Klopp dell’Olympiakos”. «Martins è Martins. È unico, come tutti noi. Certo, capisco in che senso lo dici. Entrambe sono rosse, entrambe tornano a vincere il campionato… è un caso. Non lo so, magari dovremmo chiedere a Pedro!».

«Noi siamo l’Olympiakos, abbiamo un allenatore eccezionale e dei tifosi eccezionali e scriveremo la storia in Europa. Ci credo! Li stiamo tenendo concentrati, anche se non è facile arrivare a questo livello, visto che giochiamo ogni tre giorni. Con la pandemia i giocatori non hanno avuto tanto tempo per riposarsi. I ragazzi hanno capito che possiamo fare qualcosa di importante insieme».

«L’Olympiakos può conquistare una coppa europea»

Dire «scriveremo la storia in Europa» è nei sogni della tifoseria dell’Olympiakos e non solo! In questo periodo gli Erythrolefkoi sono convincenti per i loro risultati positivi. Però possono conquistare una coppa europea? «Naturalmente! Naturalmente! Naturalmente! Questa è la bellezza dello sport. Puoi correre con un campione del mondo come avversario e riuscire a vincere una gara. La stessa cosa vale nel calcio. Le squadre che possono riuscire a fare questo sono sempre di più, a causa della globalizzazione nel calcio. I giocatori si trasferiscono nei grandi club, per farsi vedere in Europa. Quando parliamo di diversità, non ci riferiamo solo ai giocatori europei, ma anche dall’Asia, dal Medio Oriente, dall’America. Lo stesso vale anche per gli investitori/proprietari delle società».

La squadra ha due grandi obiettivi. La finale della Coppa di Grecia contro l’AEK Atene e la rimonta contro il Wolverhampton (andata 1-1 al Pireo a marzo, n.d.R). Entrambi fattibili, secondo il “cervello” dell’Olympiakos. «Tutto è possibile. Dipende da come stai, da come funziona la squadra. Per questo credo che tutti siamo concentrati quotidianamente, con tanta cura nei dettagli, dai test fisici fino a quelli per il Covid-19. I giocatori sanno che li curiamo in tutto e vogliamo centrare tutti i nostri obiettivi e quello principale è di andare avanti il più possibile» dichiara lanciando un chiaro segnale per l’Europa League. […]

«Sì, ho provato a portare Ribery all’Olympiakos»

L’Olympiakos ha lanciato numerosi giocatori in questi anni e che inevitabilmente hanno attirato l’interesse di società europee. Le offerte arrivano e sono delle sfide che la squadra del Pireo dovrà affrontare questa estate.

«È normale che abbiano offerte, perché sono di valore questi giocatori. Prima finisce la stagione e poi ci penseremo. Come ho già detto a Marinakis, il valore della rosa sarà quadruplicata in due anni». Ha ammesso che ha parlato personalmente con Franck Ribery per un possibile trasferimento all’Olympiakos: «Sì, c’era una possibilità, ma dopo è arrivato Mathieu Valbuena». Alla domanda sul suo rapporto col mercato francese, spiega: «Conosciamo bene tutti i paesi, non solo la Francia. Però è vero che abbiamo tanti rapporti con le squadre transalpine. Possiamo mandare i nostri giocatori a giocare là per farsi le ossa, come Cissé, Ba, Fodé Camara, ma anche Hugo Cuypers, Abdoulaye Keita e Qazim Laçi erano là».

Ad esempio, due squadre legate all’Olympiakos sono l’Ajaccio e Gazélec Ajaccio.  «Abbiamo rapporti con qualche club anche in Olanda, Cipro, Paesi balcanici e Grecia. In questi campionati i giocatori possono fare esperienza e mettere minuti nelle gambe. Investiamo nei giovani, affinché tornino pronti per l’Olympiakos».

«Naturalmente l’Olympiakos è la squadra che ho amato di più»

Ha giocato nel Nantes, nella Sampdoria, nel Real Madrid, nel Middlesbrough, nell’Olympiakos, nel Servette e nel Bastia. Ho sospettato che il Real e l’Olympiakos, pensando a quanti anni è presente in società, siano le due squadre più amate. Ma quale ha più nel suo cuore? «Le amo entrambe, sono imparagonabili. Se dovessi scegliere adesso? Amo quello che faccio in Grecia e sicuramente amo l’Olympiakos. Perché il Real è come il Nantes o la Sampdoria. Con loro ho vinto trofei, però l’Olympiakos mi dato l’opportunità di tornare nell’ambiente calcistico, visto che prima producevo documentari per la televisione francese». 

«Ecco, questa è un’altra esperienza che ho avuto. Ho potuto visitare continenti e persone, capire in che modo si vive nel XXI secolo e le relazioni che si possono avere con loro. È stato molto bello andare nella Foresta Amazzonica, in Namibia, in Indonesia, provando a comprendere la natura e le popolazioni che vivono in quella zona. Queste persone sopravvivono, nonostante non abbiano nessun contatto con la tecnologia, sono ancora scalzi e molto altro ancora. Con questi documentari la mia mente è tornata alla mia infanzia: in queste cose sono molto emotivo. Così, tracciando un bilancio di tutte le mie esperienze, posso dire che naturalmente scelgo l’Olympiakos come la squadra che ho amato di più».

Ero contenta, perché due giorni dopo averlo intervistato ha pubblicato su Instagram le sue avventure nella Foresta Amazzonica. Mi sono resa conto che Karembeu volesse promuovere queste importanti fatiche per la televisione francese. Si trattano di due documentari: Des îles et des hommes e Tribus XXI. Guardateli, sono eccezionali.

Dopo l’ammissione dell’amore verso l’Olympiakos, siamo tornati al punto di partenza. Ai suoi anni da bambino. Τra il serio e il faceto, gli dico: «Quando ho visto il tuo film autobiografico Kanak, L’Histoire Oubliée, ho pensato che sarebbe stato un film perfetto per Mega Channel (rete televisiva privata greca, gestita dal patron dell’Olympiakos Evangelos Marinakis, n.d.T.)». Ha riso e mi ha chiesto: «Dove l’hai visto?». «Su YouTube» gli rispondo. Non mi aveva posto quella domanda per pura curiosità. «Ma ti rendi conto? Nonostante avessimo vinto numerosi premi in Francia, quando abbiamo provato a mandarlo in onda nella mia patria, lo hanno rifiutato. Perché dicevo la verità. Così ho organizzato qualche visione privata, invitando tutti i politici, e infine hanno capito».

«Con quel film puoi capire cosa possa essere successo in quell’epoca [nel 2013]. Però perché l’ho fatto? Perché fa parte di questo dialogo aperto che deve esserci in questo momento. Potete governare questo paese, però è successo questo e dovete conoscere la mia storia. Perché la mia storia è la storia delle mie persone. Non possono accettarlo, non possono sopportare di conoscere qualcosa. Non è semplice per la terza generazione di naturalizzati fare scoperte del tipo “ah, è successo questo”. Dipende da quale parte ti schieri. Però dov’è la verità? Sta nel mezzo. È logico che non volessero mandarlo in onda. Il film è contro le decisioni e l’etica del sistema». È stato mandato in onda dopo due anni e mezzo dalla televisione francese, però nella tarda notte. Questo fatto viene citato anche da Imdb.

Karembeu è la più grande personalità sportiva che si trova in questo momento nel nostro paese (in Grecia, n.d.T) e una delle più importanti globalmente. Con i trofei vinti e la grande popolarità acquisita, porta i suoi discorsi pubblici su temi necessari per la società. Vivremmo in un mondo migliore se ascoltassimo il meraviglioso Kanak della Grecia.

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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